Tempo fa mi venne fuori questa frase ad effetto e la proposi nel progetto di aforismi “Miraggio“, pensando per altro che probabilmente qualcuno ci doveva aver già pensato. Su google invece non ho trovato niente del genere, quindi potrei prenderne la paternità, se non fosse che ormai fa parte di “Miraggio”, che è un esperimento totalmente anonimo; il respiro della rete…

Comunque, riflettendoci in un secondo tempo ho scoperto che questa piccola frase contiene molto di ciò in cui credo. È insomma una sorta di sunto del mio manifesto esistenziale. Tutto ciò che faccio, che penso, che scrivo, che sono, si basa su un approccio di “gioco” e mai di “competizione”. L’equilibrio interiore che sono riuscito a trovare negli ultimi anni è frutto anche di questa filosofia di vita.

Forse è proprio grazie alle mie radici di giocatore di ruolo che sono riuscito a sviluppare un atteggiamento non competitivo. Una delle caratteristiche del GdR infatti è proprio quella di essere un gioco in cui non esistono né vincitori né vinti. Il divertimento è legato esclusivamente al proprio impegno e a quello degli altri membri del gruppo. Solitamente, durante una buona session di gioco, tutti si divertono e nessuno può dirsi sconfitto.

Basta guardarci intorno per capire le differenze sostanziali tra ciò che è gioco e ciò che invece è competizione. Bisogna discernere fin dall’inizio i due termini, che per altro sembrano andare a braccetto. Il gioco non ha bisogno, come sembrerebbe, della competizione. I bambini non conoscono la competizione fino a quando non gliela mostriamo ed inniettiamo noi adulti. Non servono né vincitori né vinti per divertirsi.

In ogni forma d’arte, che richiama ai parametri universali della simmetria, della logica e dell’esempi della natura, dove riconosciamo la competizione scopriamo il difetto. Se in un quadro il soggetto è più interassante dello sfondo, l’immagine ci appare sbilanciata. In alcuni casi lo sbilanciamento è proprio ciò che vuole il pittore, e proprio per questo non significa che non debba esistere qualcosa di “più bello” o “più interessante”. Il soggetto non potrebbe mai risaltare all’occhio senza l’aiuto dello sfondo, dunque il gioco del quadro si basa sull'”equilibrio di sbilanciamento” tra lo sfondo e il soggetto. Non competizione, ma gioco…

Ma riuscire a non farsi condizionare dai meccanismi competitivi è soprattutto un esercizio mentale. Accettare un ruolo meno importante (come quello dello sfondo del quadro), fa parte di questo esercizio. Quando il gioco non comporta una vera e propria perdita (come ad esempio quello di intrattenimento, gli scacchi, il monopoli, il risiko…) il “saper perdere” diventa quasi un arte. Le cose cambiano quando si parla di soldi, di lavoro, di gerarchie e anche di posizioni etiche e religiose.

Competizione significa forzare qualsiasi equilibrio, vertendo spericolatamente verso la sopraffazione di uno su un altro. Il nostro sistema economico si basa sulla competizione. Gli sport che noi pratichiamo si basano sulla competizione. Le carriere che noi perseguiamo si basano sulla competizione. L’amore invece, che dovrebbe essere l’esempio più alto di vita per noi esseri umani, non potrebbe mai essere competizione. È invece “Gioco”, un gioco tra due persone che non ha bisogno né di vincitori e né di vinti. Se i partecipanti si divertono a giocare saranno entrambi vincitori, se invece il gioco annoia oppure si trasforma appunto in competizione, tutti e due avranno perso.

Se applicassimo il gioco dell’amore a qualsiasi altra attività, vivremmo finalmente quell’equilibrio ispirato da tutto ciò che di positivo ed armonico ci circonda; la natura, l’universo, la bellezza…

Foto di Daniele Florio: http://www.flickr.com/photos/danieleflorio/