NASTY NERD STAY AWAY FROM MY TABLE!

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Esiste una formula appurata che vuole il classico Nerd giocatore di ruolo. Eppure mi domando se tutti i giocatori di ruolo siano automaticamente dei Nerd, come se l’attività ludica fosse una specie di rituale iniziatico per entrare a far parte di quella privilegiata cerchia di secchioni, collezionisti e adepti di George Lucas. Ma bisogna ricordarci che Nerd è un aggettivo che non ci appartiene, anche se come con altri vocaboli anglosassoni lo abbiamo incorporato nel nostro linguaggio. Certo, esistono Nerd anche in Italia, ma in confronto ai modelli Americani (Nerd IGT) non sono che delle curiose caricature… Potremo chiamarli simpaticamente Spaghetti Nerd.

Da quando frequento regolarmente il gruppo internazionale di gioco, ho la fortuna (o sfortuna) di conoscere una svariata specie di Nerd IGT, e vi assicuro che su alcune di queste creature si potrebbe realizzare più di un servizio per il National Geografic. Ci sono i Computer Nerd, con l’inconfondibile gobba dovuta alle maratone davanti al PC, gli Star Wars Nerd, con un importante bagaglio culturale di un centinaio di visioni della doppia trilogia di Lucas (ne ho conosciuto uno che si è votato per la vita a non indossare altro che magliette di Star Wars), i Cool Nerd, perché si può essere cool anche da nerd, e poi ci sono i Nasty Nerd, ovvero quelli che non vorresti mai al tavolo da gioco.

I Nasty Nerd sono coloro che hanno letto tutti i manuali almeno cinque volte e conoscono le regole fin nei minimi dettagli. Sono quelli che hanno sempre qualcosa da ridire sui sistemi di gioco, che hanno delle preferenze inamovibili, che giocano il gdr come se fosse un gioco di strategia, che amano pompare al massimo il proprio personaggio, che godono nel trovare impreparato il master e sventolargli sotto il naso una regola di cui si è dimenticato. I Nasty Nerd leggono il Signore degli Anelli in un pomeriggio e se ne vantano. Parlano, parlano, parlano finché il brufolazzo sulla punta del naso non gli esplode come una spora rischiando di infettare gli altri giocatori, almeno che non realizzino un tempestivo TS.

Di questi personaggi il mondo del GdR ne è pieno, ma il mio consiglio è di tenersi alla larga da loro. Se volete evitare di trasformare la vostra esperienza di ruolo in un banale boardgame, tenete alla larga dal vostro tavolo i Nasty Nerds. Che Tsathoggua se li pigli tutti!

PS: Fanno eccezione le Nasty Nerd che presentano interessanti doti fisiche come questa qui accanto. Per quanto possano parlare, sono sempre molto ben accette al tavolo di gioco!

LA SFIDA DEL BRAVO INVESTIGATORE DELL’INCUBO

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Una giocata all’insegna dell’horror quella di ieri pomeriggio ad Amsterdam, con la solita banda di players internazionali (due americani, uno dei quali cresciuto vicino a Providence, un israeliano, un francese, uno svedese e il sottoscritto italiano). Una session breve ma intensa in cui un raffinato personaggio dell’alta società di Arkham, tale Rupert M., confessa sul letto di morte una marachella fatta in gioventù insieme alla sua maldestra compagnia di occultisti. Toccherà a noi del gruppo, un ex soldato, un investigatore privato, un  professore, un suonatore di tromba (io) e un lavandaio cinese, rispedire nell’oscurità da dove è fuoriuscito l’essere evocato da Rupert e co., rimasto poi imprigionato nella soffitta di un piccolo cottage di sua proprietà.

Ovviamente non sono mancati i morti (il detective e il chinaman non ce l’hanno fatta e di quest’ultimo è rimasto ben poco) e tante terrificanti emozioni. Perché il Richiamo di Cthulhu è essenzialmente questo, un gdr per veri Role Player in cui non c’è posto per sentimentalismi e feticismi di alcun genere. Un giocatore non può permettersi di affezionarsi alla sua scheda, perché nel mondo di HPL, o finisci al manicomio o all’obitorio, e  queste sono le opzioni migliori. Il chinaman, ad esempio, è diventato cibo per i corvi e gli sciacalli…

Ma nel dopo-partita sono sorte le solite riflessioni e ve ne è una che mi piace condividere su questo diario di gioco. Credo che la vera sfida per un giocatore del Richiamo di Cthulhu sia quella di pretendere ogni volta di non conoscere niente dei miti, cosa non facile. Anche ieri infatti i miei compagni, forse con un po’ di leggerezza, hanno accettato senza problemi le follie del mondo di Lovecraft. Come al solito mi sono trovato a fare la parte del bastian contrario. Mentre i miei compagni si stavano già sporcando le mani con la polvere di gesso per tracciare i simboli arcani sul pavimento del cottage, io continuavo a negare l’evidenza, forte dei miei sessanta e passa punti sanità e degli ottimi tiri fatti di fronte ad alcuni bizzarri avvenimenti di cui il gruppo è stato testimone. Il mio trombettista jazz ha negato quegli orrori fino all’ultimo, fino cioè a quando la verità non gli si è mostrata in tutto il suo orrore.

Fingere di essere completamente all’oscuro dei miti di Cthulhu può regalarti ogni volta che giochi nuove emozioni. La casa abbandonata con le finestre rotte e uno strano odore proveniente dalla cantina è solamente una vecchia casa. Un personaggio ignaro degli orrori che vi si potrebbero celare, spalancherà la porta senza troppi problemi, con il rischio di ritrovarsi tra le grinfie di un Gount della Notte… Avventato? Forse, ma è esattamente così che si dovrebbe comportare un personaggio che vuole risultare convincente.

C’è una regola non scritta nell’affascinante manuale di Petersen ed è appunto quella di non affezionarsi al proprio PG. Il giocatore esperto muore in scioltezza tra le fauci di un cucciolo scuro o tra i tentacoli di uno cthoniano. Il mio vecchio gruppo la capì al volo questa regola (anche se a qualcuno non andava a genio) e il vederla rispettare da una manciata di giocatori di diverse nazionalità non fa che confermarla. Questo è il mondo di Lovecraft… lasciate ogni speranza o voi che entrate.

Sopra alcuni momenti della giocata di ieri.

LA STANZA DA MASTER PERFETTA

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Devon Burntwire è un pazzo… oppure un genio… in ogni caso è un giocatore di ruolo, e chi conosce bene questi personaggi sa che non sono proprio dei banali “geek”. Sono i “geek” per eccellenza!

Devon ci ha messo due anni per costruire la “stanza da master perfetta”, e credo proprio che ci sia riuscito. L’arredamento pacchiano e l’invidiabile collezione di manuali sono ben visibili nella piccola gallery qua sopra. Quello che non si vede si trova dietro lo screen del master a forma di castello, una pulsantiera speciale per controllare le luci e, udite udite, la macchina del fumo. Proprio così!

Dubito che  una serata di gioco in una simile location possa andare storta. Certo, i nostri scantinati improvvisati erano davvero romantici (per non parlare della pelle di mucca del Baba!), ma una giocata circondato dai teschi, con le luci soffuse, il candelabro sulla testa e il fumo che ti sale su da sotto il tavolo non me la farei proprio scappare!

FONTE IMMAGINI: http://kotaku.com/5487938/the-worlds-greatest-dungeons–dragons-room

LA VITA È GIOCO, NON COMPETIZIONE

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Tempo fa mi venne fuori questa frase ad effetto e la proposi nel progetto di aforismi “Miraggio“, pensando per altro che probabilmente qualcuno ci doveva aver già pensato. Su google invece non ho trovato niente del genere, quindi potrei prenderne la paternità, se non fosse che ormai fa parte di “Miraggio”, che è un esperimento totalmente anonimo; il respiro della rete…

Comunque, riflettendoci in un secondo tempo ho scoperto che questa piccola frase contiene molto di ciò in cui credo. È insomma una sorta di sunto del mio manifesto esistenziale. Tutto ciò che faccio, che penso, che scrivo, che sono, si basa su un approccio di “gioco” e mai di “competizione”. L’equilibrio interiore che sono riuscito a trovare negli ultimi anni è frutto anche di questa filosofia di vita.

Forse è proprio grazie alle mie radici di giocatore di ruolo che sono riuscito a sviluppare un atteggiamento non competitivo. Una delle caratteristiche del GdR infatti è proprio quella di essere un gioco in cui non esistono né vincitori né vinti. Il divertimento è legato esclusivamente al proprio impegno e a quello degli altri membri del gruppo. Solitamente, durante una buona session di gioco, tutti si divertono e nessuno può dirsi sconfitto.

Basta guardarci intorno per capire le differenze sostanziali tra ciò che è gioco e ciò che invece è competizione. Bisogna discernere fin dall’inizio i due termini, che per altro sembrano andare a braccetto. Il gioco non ha bisogno, come sembrerebbe, della competizione. I bambini non conoscono la competizione fino a quando non gliela mostriamo ed inniettiamo noi adulti. Non servono né vincitori né vinti per divertirsi.

In ogni forma d’arte, che richiama ai parametri universali della simmetria, della logica e dell’esempi della natura, dove riconosciamo la competizione scopriamo il difetto. Se in un quadro il soggetto è più interassante dello sfondo, l’immagine ci appare sbilanciata. In alcuni casi lo sbilanciamento è proprio ciò che vuole il pittore, e proprio per questo non significa che non debba esistere qualcosa di “più bello” o “più interessante”. Il soggetto non potrebbe mai risaltare all’occhio senza l’aiuto dello sfondo, dunque il gioco del quadro si basa sull'”equilibrio di sbilanciamento” tra lo sfondo e il soggetto. Non competizione, ma gioco…

Ma riuscire a non farsi condizionare dai meccanismi competitivi è soprattutto un esercizio mentale. Accettare un ruolo meno importante (come quello dello sfondo del quadro), fa parte di questo esercizio. Quando il gioco non comporta una vera e propria perdita (come ad esempio quello di intrattenimento, gli scacchi, il monopoli, il risiko…) il “saper perdere” diventa quasi un arte. Le cose cambiano quando si parla di soldi, di lavoro, di gerarchie e anche di posizioni etiche e religiose.

Competizione significa forzare qualsiasi equilibrio, vertendo spericolatamente verso la sopraffazione di uno su un altro. Il nostro sistema economico si basa sulla competizione. Gli sport che noi pratichiamo si basano sulla competizione. Le carriere che noi perseguiamo si basano sulla competizione. L’amore invece, che dovrebbe essere l’esempio più alto di vita per noi esseri umani, non potrebbe mai essere competizione. È invece “Gioco”, un gioco tra due persone che non ha bisogno né di vincitori e né di vinti. Se i partecipanti si divertono a giocare saranno entrambi vincitori, se invece il gioco annoia oppure si trasforma appunto in competizione, tutti e due avranno perso.

Se applicassimo il gioco dell’amore a qualsiasi altra attività, vivremmo finalmente quell’equilibrio ispirato da tutto ciò che di positivo ed armonico ci circonda; la natura, l’universo, la bellezza…

Foto di Daniele Florio: http://www.flickr.com/photos/danieleflorio/