GDR GRATIS: C’é solo l’imbarazzo della scelta

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Sono ormai diversi mesi che mi occupo di giochi di ruolo gratuiti scaricabili in rete. Pubblicai un post circa un anno fa in cui presentavo alcuni felici episodi di game design italiano, ma se ci si spinge fuori dall’Italia si puó trovare ogni sorta di materiale di gioco. Davvero, non c’é che l’imbarazzo della scelta.

Sul sito di John Kim vengono esposti piú di 500 gdr “fatti in casa” suddivisi per generi, dall’horror ai supereroi, passando per il solito fantasy. Ad oggi, sono invece 588 i manuali presentati da 1000 Monkeys, 1000 Tynewriters, compresi i folli progetti del contest 24hours RPG, di cui avevo parlato qui. Spulciare tra questi giochi é un ottimo modo per farsi venire delle idee per progettare il proprio gioco di ruolo.

Anch’io, nel mio piccolo, mi sono buttato nel game design, pubblicando alcuni simpatici light rules. Scrivere un GdR con un sistema di gioco completamente nuovo non é facile. Sono convinto che prima di lanciarsi in un’avventura simile sia necessario avere ben in mente l’ambientazione sulla quale si vuole costruire il gioco. Progettare l’ennesimo GdR di fantasy classica puó rivelarsi una perdita di tempo. Il mio consiglio é quindi quello di cercare uno scenario originale per poi cucirgli addosso delle buone regole.

L’approccio al gioco dei light rules e dei giochi “fatti in casa” é sicuramente diverso da quello dei classici gdr. Io stesso ho giocato per anni al solito D&D in un periodo in cui non mi passava neanche per la testa di provare altri giochi. Cambiare gioco all’interno di un gruppo comporta sempre alcuni problemi; non tutti sono disposti ad imparare nuove regole o ad abbandonare i propri personaggi, ma forse l’ostacolo piú grosso é rappresentato dal cambio di scenario.

I light rules, pur avendo tutti gli ingredienti per essere dei giochi di ruolo completi, sono perlopiú episodi ludici adatti ad un paio di session. Non hanno abbastanza spessore per far si che il giocatore si affezioni al gioco o al proprio personaggio. Si tratta percui di un modo diverso di vivere l’esperienza del gdr. Eppure questi giochi possono offrire delle ottime opportunitá per affinare le proprie tecniche interpretative e di improvvisazione. E quando sono fatti davvero bene, non hanno nulla da invidiare ai grandi nomi.

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LE PRIME FANZINE ITALIANE SUL GDR

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Era la fine degli anni ’80 e in Italia su Dungeons and Dragons c’era poco o nulla. A parte la scatola rossa, l’expert e qualche avventura, tutto ciò che arrivava nei negozi specializzati (che si contavano sulle dita di una mano) era in inglese, che all’epoca si masticava appena.

In quel periodo a Firenze girava una fanzine molto undrground che per un po’ fu fonte di grande ispirazione per il gioco del mio gruppo. Si chiamava Spellbook, e conservo ancora i primi sette numeri (anche se non credo ne siano usciti altri). Gli autori introducevano delle varianti alle regole molto interessanti, e proponevano campagne di gioco, nuovi mostri e tante idee da mettere nelle proprie avventure. “Avventurieri in Erba” era ad esempio una rubrica molto carina sulle proprietà delle erbe, argomento completante assente nella prima versione di D&D.

Nel primo numero comparivano due nuove classi, una ispirata al signore degli anelli (l’Halfing Malefico, ovvero Gollum) e l’altra al famoso fumetto di Moebius “Arzack”. L’approccio della fanzine era abbastanza ironico, ma servì a farci capire che eravamo liberi di sperimentare quanto volevamo. Come molti giocatori alle prime armi, anche noi prendevamo le regole del gioco in maniera troppo rigida. Spellbook ci aiutò a capire che le regole potevamo tranquillamente adattarle ai nostri bisogni.

Prima dell’avvento della Stratelibri, che monopolizzò il GdR italiano per tutti gli anni ’90, ci furono diversi episodi sulla scia di Spellbook. Tra il mio vecchio materiale di gioco ho ritrovato il terzo numero di The Scroll, fanzine di Milano con vedute decisamente più larghe. In questo numero non si parlava solo di D&D ma anche di Merp e del Richiamo di Cthulhu, in un tempo in cui non erano stati ancora tradotti.

Non una semplice fanzine autoprodotta ma una vera e propria rivista fu Rune, uscita nel dicembre del 1990. Quasi cento pagine, copertina a colori e un occhio di riguardo per l’impaginazione dei contenuti; insomma, anche se ne uscirono solo una manciata di numeri, Rune fece capire che la strada per una rivista italiana sul gioco di ruolo era spianata. Bastava soltanto investire un po’ di moneta, e i lettori avrebbero risposto.

La Stratelibri fece il resto. Excalibur è stato senza dubbio il giornale italiano sul Gdr più importante,  un ottimo prodotto e un eccellente strumento di gioco. Fu il Dragon nostrano, nulla di meno.

Se ti è piaciuto l’articolo, supporta l’autore clikkando sugli sponsor di questo sito.

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LA MIA PRIMA PARANOIA

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Eppure la giornata era incominciata nel migliore dei modi, addirittura con una colazione vera, un mela con il torsolo e tutto, e non quello schifo sintetico che rifilano agli Infrarossi. D’altronde il terzo clone del mio personaggio Virgil, sfoggiava con orgoglio i colori del livello Blu, il che voleva dire che ero una mezza celebrità nel nostro dipartimento.

Non sono mancate le solite divergenze tra i membri del gruppo, mentre sorseggiavano beatamente del sintho-coffee e ci godevamo quel sontuoso pasto. Victoria, che sedeva alla mia sinistra, se ne è uscita, rivolgendosi agli altri del gruppo, con un un appellativo decisamente sovversivo. “Compagni!” ha esclamato, e Vince, che sedeva davanti a noi, non ha perso tempo a dimostrare la sua lealtà al Computer. Ha estratto la sua pistola laser, l’ha puntata alla testa della donna, e dopo averla apertamente accusata di tradimento le ha fatto saltare le cervella.

In quel momento il led del nostro portatile si è acceso e il Computer ci ha convocati nella stanza N. 354 per fornirci i dettagli di una segretissima missione. Mentre ci muovevamo verso il luogo dell’incontro, il quarto clone di Victoria ci ha raggiunti. Eravamo di nuovo tutti insieme, pronti, risoluti e, naturalmente, molto felici. Perché si sa, al Complesso Alfa, la felicità è obbligatoria.

Purtroppo la missione consisteva nel vestire i panni di un gruppo di operai Infrarossi ingaggiati dall’azienda Fresh Intestine, maggiore produttrice di salsicce sintetiche della città, e di investigare su un certo Alan “O”, responsabile del reparto nel distretto MUD. Alan era probabilmente un sovversivo, ma al Computer servivano le prove, e noi gliele avremmo fornite.

Ma mentre ci recavamo al distretto MUD, non senza qualche difficoltà dato che agli occhi di tutti (anche del Computer, perché la missione era davvero segretissima!!) eravamo solo degli insignificanti Infrarossi in incognito, Alan “O” ha pensato bene di batterci sul tempo lanciando il suo sesto ed ultimo clone sui binari del nostro treno. Al Computer però non sarebbe bastato sapere che il presunto traditore si era suicidato. Avrebbe preteso le prove del suo tradimento e i nomi degli eventuali complici.

Perciò ci siamo recati alla Fresh Intestine ed abbiamo incominciato ad investigare, con i soliti problemini delle matricole. Dato che era tardi e non avevamo la possibilità di ottenere i moduli BQ276625/D per farci assegnare un alloggio per la notte, siamo stati costretti a girare per le caffetterie del reparto. Inoltre, dalla succulenta mela del mattino, non avevamo mangiato nulla, così abbiamo ordinato il menù riserbato agli Infrarossi (ovviamente drogato), che si muoveva in maniera poco invitante nel piatto. Un agente si è accorto che non riuscivo a mangiarlo, mi ha chiesto se mi piaceva ed io ho risposto che il cibo era buonissimo ma che ero un po’ indisposto. A quel punto mi hanno portato d’urgenza al pronto intervento e mi hanno asportato per errore un braccio. Stranamente mi è tornato subito l’appetito e mi sono buttato sulla cena che mi aspettava in caffetteria, e che ancora non aveva smesso di muoversi. Purtroppo lo stomaco non è riuscito a trattenerla. Tempestivo il solito agente mi ha intimato di raccattare tutto (con un braccio solo, quello che mi era rimasto!) e di riprovare a mangiare: “di solito, dopo averla vomitata, diventa più facile da tenere dentro!”

Passata la notte, siamo tornati ad investigare presso la Fresh Intestine, e non sono mancate un bel po’ di esplosioni, di insurrezioni e di pirotecnici attentati terroristici da parte dei soliti comunisti mutanti. Ma ci sono pericoli più seri di un Cannone Megadeth caricato con proiettili al plutonio.

È triste perdere un un clone per colpa di un agente Verde che per difendersi dalle accuse di un suo superiore, ti accusa apertamente di tradimento. Ma forse è ancora peggio sbagliare a compilare un modulo di transito presso l’ufficio CPU. E così sono rimasto con il mio ultimo clone, il sesto, ma alla fine sono riuscito insieme agli altri a portare a temine la missione. O almeno così credevo.

Purtroppo, per recuperare le prove che incriminavano Alan “O”, una delle telecamere mi ha beccato a rubare negli uffici della Fresh Intestine. La punizione per un atto del genere consiste ovviamente nella terminazione di un clone, il mio sesto ed ultimo…

…ed così che è andata a finire la mia prima, entusiasmante e folle avventura nell’universo Orwelliano di Paranoia.

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UN GDR IN 24 ORE

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Navigando tra i più importanti siti americani di GdR fatti in casa, mi sono imbattuto in un progetto a dir poco geniale al quale aderirò sicuramente appena avrò un po’ di tempo. Si tratta del “24 Hour RpG”, una folle competizione a tempo per inventori di giochi di ruolo. Le regole sono molto semplici: scrivere un gioco di ruolo nell’arco di 24 ore! Nessuna pausa è ammessa. Se incominci a scrivere alle 6 del pomeriggio di martedì, il gioco deve essere finito per mercoledì pomeriggio, entro le sei.

Impossibile? Ma no…
Diversi ragazzi hanno aderito al contest tirando fuori della roba davvero meravigliosa, brevi ed esaustivi manuali di gioco con tanto di illustrazioni. Date un’occhiata ad esempio a questo Joe in Ten Persons oppure a Cloudship Atlantis.

La sfida la ripasso ai lettori. Provateci! Seguite le regole del progetto: 24 ore spaccate, senza bozzetti preparatori, né materiale grafico, senza scopiazzare da altri sistemi di gioco ed ovviamente senza rubare sul tempo. I lavori verranno presentati su questo blog. Mandatimeli in formato doc, text, rtf o meglio pdf all’indirizzo: info@willoworld.net.

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CHE FINE HA FATTO IL VERO SPIRITO DEL GDR?

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I vecchi giocatori sembrano  concordare sul fatto che il vero spirito del GdR si sia perduto nel tempo e nell’inevitabile evoluzione (o involuzione) dei sistemi e delle mode di gioco. Dalle prime esperienze degli anni ’70 e ’80, durante i quali in Italia il gioco di ruolo era pressoché sconosciuto, siamo passati all’era del D20, come mi ricorda giustamente Qwein, personaggio davvero eccezionale del panorama del Gdr italiano. La scatola rossa col drago stampato dette inizio a una moda che, pur rimanendo undreground, contava ogni anno sempre più affiliati. La TSR e le altre case editrici incominciarono a sfornare manuali su manuali, la Stratelibri tradusse un bel po’ di roba e noi ragazzini mettevamo più che volentieri la mano ai portafogli per poter consultare gli ultimi aggiornamenti, i nuovi sistemi di gioco, le mappe, i supplementi, le avventure ecc… Tutte cose che per giocare “il vero spirito del GdR” sono assolutamente superflue. Ma questo è il mercato, che ci vogliamo fare…

La seconda botta si ebbe con Magic, che nonostante abbia avvicinato molte persone al Gdr (e in alcuni casi allontanato) portò uno spirito nuovo, competitivo, assolutamente opposto all’approccio di gioco del GdR classico che si basa sulla condivisione dell’esperienza e sulla collaborazione di gruppo. Di nuovo il mercato ne uscì rinvigorito. La strategia “più mazzi di carte = più potenza” funzionò alla perfezione, malgrado fosse un meccanismo perverso e riprovevole. Stessa cosa avvenne poi con i giochi di miniature, anche se, almeno per quanto mi riguarda, la linea che divideva questi giochi col GdR rimase sempre molto evidente. Ma il GdR non poteva non risentire di queste tendenze. Alcuni sistemi di gioco inclusero le carte, i giochi di strategia si ibridarono con quelli di ruolo, insomma si è fatto, si è sperimentato, si è provato nuove vie e ovviamente si è speso un monte di soldini. Niente di male, ovviamente, ma è curioso notare che da un gioco che non richiederebbe praticamente alcun supporto, se non un a manciata di dadi, un foglio e un lapis, si sia riusciti a creare un mercato così grande e articolato.

I 2000 sono stati gli anni del Signore degli Anelli, che ha sicuramente reclutato nuovi adepti, e quelli dei MMORPG, che hanno avvicinato le nuove generazioni corrompendole prima di farle sedere ad un tavolo da gioco. Il sistema D&D quarta edizione è la prova di una deludente involuzione del gioco dovuta ai videogames di nuova generazione. La strada verso il vero spirito del GdR per i nuovi giocatori provenienti dai MMORPG sarà più difficile, perché dalla console dovranno passare ai manualoni di 4E., poi a qualcosa di più sobrio, fino a tornare alle radici, a scoprire il diceless, a godere del vero spirito del GdR. Un processo esattamente inverso a quello abbiamo fatto noi, che dalla semplicità di D&D ci spingemmo fino alle follie di Rolemaster e Gurps.  Eppure lo vedo succedere sotto i miei occhi. Gli appuntamenti con la Gilda di Amsterdam, gruppo di giocatori internazionali che si riunisce ogni mese nella capitale olandese, sono sempre caratterizzati da una forte affluenza ai tavoli della 4E, ma piano piano i ragazzini si spostano, provano altri giochi, capiscono l’importanza di affinare le tecniche interpretative più di quelle strategiche. Insomma, nonostante i cambiamenti credo proprio che il vero spirito del GdR ci sia ancora. Sta a noi, giocatori datati ed indomiti, mantenerlo vivo.

LA SFIDA DEL BRAVO INVESTIGATORE DELL’INCUBO

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Una giocata all’insegna dell’horror quella di ieri pomeriggio ad Amsterdam, con la solita banda di players internazionali (due americani, uno dei quali cresciuto vicino a Providence, un israeliano, un francese, uno svedese e il sottoscritto italiano). Una session breve ma intensa in cui un raffinato personaggio dell’alta società di Arkham, tale Rupert M., confessa sul letto di morte una marachella fatta in gioventù insieme alla sua maldestra compagnia di occultisti. Toccherà a noi del gruppo, un ex soldato, un investigatore privato, un  professore, un suonatore di tromba (io) e un lavandaio cinese, rispedire nell’oscurità da dove è fuoriuscito l’essere evocato da Rupert e co., rimasto poi imprigionato nella soffitta di un piccolo cottage di sua proprietà.

Ovviamente non sono mancati i morti (il detective e il chinaman non ce l’hanno fatta e di quest’ultimo è rimasto ben poco) e tante terrificanti emozioni. Perché il Richiamo di Cthulhu è essenzialmente questo, un gdr per veri Role Player in cui non c’è posto per sentimentalismi e feticismi di alcun genere. Un giocatore non può permettersi di affezionarsi alla sua scheda, perché nel mondo di HPL, o finisci al manicomio o all’obitorio, e  queste sono le opzioni migliori. Il chinaman, ad esempio, è diventato cibo per i corvi e gli sciacalli…

Ma nel dopo-partita sono sorte le solite riflessioni e ve ne è una che mi piace condividere su questo diario di gioco. Credo che la vera sfida per un giocatore del Richiamo di Cthulhu sia quella di pretendere ogni volta di non conoscere niente dei miti, cosa non facile. Anche ieri infatti i miei compagni, forse con un po’ di leggerezza, hanno accettato senza problemi le follie del mondo di Lovecraft. Come al solito mi sono trovato a fare la parte del bastian contrario. Mentre i miei compagni si stavano già sporcando le mani con la polvere di gesso per tracciare i simboli arcani sul pavimento del cottage, io continuavo a negare l’evidenza, forte dei miei sessanta e passa punti sanità e degli ottimi tiri fatti di fronte ad alcuni bizzarri avvenimenti di cui il gruppo è stato testimone. Il mio trombettista jazz ha negato quegli orrori fino all’ultimo, fino cioè a quando la verità non gli si è mostrata in tutto il suo orrore.

Fingere di essere completamente all’oscuro dei miti di Cthulhu può regalarti ogni volta che giochi nuove emozioni. La casa abbandonata con le finestre rotte e uno strano odore proveniente dalla cantina è solamente una vecchia casa. Un personaggio ignaro degli orrori che vi si potrebbero celare, spalancherà la porta senza troppi problemi, con il rischio di ritrovarsi tra le grinfie di un Gount della Notte… Avventato? Forse, ma è esattamente così che si dovrebbe comportare un personaggio che vuole risultare convincente.

C’è una regola non scritta nell’affascinante manuale di Petersen ed è appunto quella di non affezionarsi al proprio PG. Il giocatore esperto muore in scioltezza tra le fauci di un cucciolo scuro o tra i tentacoli di uno cthoniano. Il mio vecchio gruppo la capì al volo questa regola (anche se a qualcuno non andava a genio) e il vederla rispettare da una manciata di giocatori di diverse nazionalità non fa che confermarla. Questo è il mondo di Lovecraft… lasciate ogni speranza o voi che entrate.

Sopra alcuni momenti della giocata di ieri.

LA STANZA DA MASTER PERFETTA

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Devon Burntwire è un pazzo… oppure un genio… in ogni caso è un giocatore di ruolo, e chi conosce bene questi personaggi sa che non sono proprio dei banali “geek”. Sono i “geek” per eccellenza!

Devon ci ha messo due anni per costruire la “stanza da master perfetta”, e credo proprio che ci sia riuscito. L’arredamento pacchiano e l’invidiabile collezione di manuali sono ben visibili nella piccola gallery qua sopra. Quello che non si vede si trova dietro lo screen del master a forma di castello, una pulsantiera speciale per controllare le luci e, udite udite, la macchina del fumo. Proprio così!

Dubito che  una serata di gioco in una simile location possa andare storta. Certo, i nostri scantinati improvvisati erano davvero romantici (per non parlare della pelle di mucca del Baba!), ma una giocata circondato dai teschi, con le luci soffuse, il candelabro sulla testa e il fumo che ti sale su da sotto il tavolo non me la farei proprio scappare!

FONTE IMMAGINI: http://kotaku.com/5487938/the-worlds-greatest-dungeons–dragons-room

MASTER VS GIOCATORE

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Prima della reminiscenza ludica avvenuta verso i ventidue-ventitré anni, grazie alla quale le regole e i sistemi di gioco passarono automaticamente in secondo piano, lo scontro tra giocatore e master era praticamente un abituè all’interno del nostro vecchio gruppo. Di solito succedeva che il GM decidesse una certa conseguenza di certi eventi, condizionati da certi comportamenti di gioco e certi risultati di dado, la qual cosa non sempre andava a genio a uno dei giocatori, che in silenzio allungava la mano per afferrare il manuale ed incominciare a rileggersi avidamente le regole. Dopo qualche minuto ecco che quello stesso giocatore si accaniva furiosamente contro il master, indicando con sicurezza il paragrafo del manuale che, secondo lui, metteva in discussione la decisione appena presa. A questo punto avveniva lo scontro aperto, e per il GM era sempre un problema riportare la calma, senza al contempo perdere il controllo della situazione.

Quando un giocatore si arrabbia per una decisione del master e non fa segreto di questo suo disappunto,  rischia automaticamente di compromettere l’intera session di gioco. Il master, in quanto arbitro, non può ritornare sulle sue decisioni con troppa leggerezza perché rischierebbe di perdere la presa sulla partita. Questo è un errore in cui sono incappato molte volte da ragazzo quando masterizzavo Il Richiamo di Cthulhu. Una persona in particolare, peraltro un ottimo giocatore di ruolo e anche un bravo master, trovava difficile distaccarsi dalla sua scheda. Come sappiamo il gioco ispirato a Lovecraft è forse il meno ideale per affezionarsi ad un personaggio, perché è quasi scontato che prima o poi finisca all’obitorio, oppure in un manicomio o in una setta. Questo giocatore però non voleva assolutamente rinunciare al suo investigatore dell’incubo, e se ne venne fuori con l’idea dell’Highlander. Infatti, guarda un po’, il personaggio si chiamava proprio Connor McLoud, un banale rip-off del famoso film con Lambert.

In principio ero contro questa idea, ma il giocatore fu così insistente che alla fine acconsentii. Come conseguenza gli altri giocatori rimasero un po’ confusi, se ne vennero fuori con delle battute e l’atmosfera cupa e misteriosa del mondo di Cthulhu si colorò di grottesco. La mia colpa fu quella di aver ceduto troppo alle richieste di un giocatore, compromettendo così il gioco, e questo solamente perché volevo che tutti si divertissero, compreso il giocatore sofferente affezionato al proprio personaggio.

Il consiglio ai GM quindi è quello di non temere il confronto con il giocatore, soprattutto quando è proprio lui che vuole stravolgere le regole. Quando invece si appella al manuale per ritornare su una decisione, è bene valutare bene le reazioni degli altri prima di dargli ragione. Alla fine il GM può sempre appellarsi alla regola principale di ogni GdR, che dà sempre a lui l’ultima parola.

DOMANDINA PER IL MIO VECCHIO GRUPPO: Chi è il personaggio misterioso di cui parlo nell’articolo? Chi indovina si porta a casa un’illustrazione originale di Angus McBride nella quale viene rappresentata una scena tagliata del Signore degli Anelli, in cui Barbarbero penetra ferocemente con uno dei suoi tortuosi rami il culetto di Pipino.

PICCOLI GIOCATORI DI RUOLO CRESCONO…

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Sono reduce dalla prima partita di Dungeons & Dragons insieme a mio figlio, quello più grande, che ancora deve compiere cinque anni, e non posso fare a meno di testimoniare questo evento. L’idea di diventare il Master dei miei figli mi è sempre bazzicata per la testa, ma non mi aspettavo potesse accadere così presto. Il GdR è un’attività ludica complessa, non proprio adatta ai bambini, anche se forse sono proprio loro ad avere una maggiore abilità di immedesimazione. Invece il piccolo Jo mi ha davvero sorpreso, divertendosi e intrattenendosi al tavolo per oltre un’ora, cosa non facile a quell’età.

Il primo assaggio di D&D gliel’ho somministrato con la versione “gioco da tavolo” e una manciata di regole super-semplificate. Lo scenario del dungeon con i tesori ed i mostri ha stimolato subito la sua fantasia. Ha capito al volo che non è sempre vantaggioso cercare lo scontro aperto e, nonostante giocasse con un guerriero, ha provato più volte ad agire da ladro. Da DM comprensivo e padre premuroso, gli ho concesso di forzare le regole, e ne sono nate alcune emozionanti situazioni. È riuscito a intrufolarsi in una stanza, accaparrarsi il tesoro senza farsi vedere dal mostro che l’abitava, e ad uscirne illeso.

Nel lanciare i dadi ha già una sua tecnica che ho battezzato “lancio alla tremarella”. L’eccitazione del risultato infatti gli fa muovere spasmodicamente il pugno stretto intorno alla pietruzza. Questa peculiarità mi ha ricordato le tecniche di lancio dei giocatori più esperti, i riti propiziatori ed i moccoli che immancabilmente accompagnano i fallimenti.

Nella prima avventurina i nostri due personaggi sono penetrati in un classico dungeon per recuperare una chiave e uccidere orchi, troll e scheletri. Non contento, il piccolo Jo mi ha chiesto la seconda parte della storia. Cosa aprirà mai questa chiave? E allora, dopo quasi un’ora di gioco, abbiamo riorganizzato lo scenario, con tanto di ponte sul fiume di lava. “Bisogna stare attenti perché se si scivola dal ponte facciamo una brutta fine!” ha commentato subito il piccolo guerriero. La famosa chiave apriva la porta d’accesso ad un secondo dungeon. Sul ponte abbiamo combattuto i non-morti, poi un verme gigante e altri troll. Alla fine abbiamo recuperato tutti i tesori e gli oggetti magici disseminati per le stanze. Uno spettacolo.

Rimettendo a posto la scatola e i dadi il padre premuroso ha chiesto al figlio con gli  occhi luccicanti: “Ma ti è piaciuto?” E il piccolo ha risposto, nel suo fluente olandese… “Ja!”
EVVAI! PICCOLI GIOCATORI DI RUOLO CRESCONO!!!!

LA VITA È GIOCO, NON COMPETIZIONE

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Tempo fa mi venne fuori questa frase ad effetto e la proposi nel progetto di aforismi “Miraggio“, pensando per altro che probabilmente qualcuno ci doveva aver già pensato. Su google invece non ho trovato niente del genere, quindi potrei prenderne la paternità, se non fosse che ormai fa parte di “Miraggio”, che è un esperimento totalmente anonimo; il respiro della rete…

Comunque, riflettendoci in un secondo tempo ho scoperto che questa piccola frase contiene molto di ciò in cui credo. È insomma una sorta di sunto del mio manifesto esistenziale. Tutto ciò che faccio, che penso, che scrivo, che sono, si basa su un approccio di “gioco” e mai di “competizione”. L’equilibrio interiore che sono riuscito a trovare negli ultimi anni è frutto anche di questa filosofia di vita.

Forse è proprio grazie alle mie radici di giocatore di ruolo che sono riuscito a sviluppare un atteggiamento non competitivo. Una delle caratteristiche del GdR infatti è proprio quella di essere un gioco in cui non esistono né vincitori né vinti. Il divertimento è legato esclusivamente al proprio impegno e a quello degli altri membri del gruppo. Solitamente, durante una buona session di gioco, tutti si divertono e nessuno può dirsi sconfitto.

Basta guardarci intorno per capire le differenze sostanziali tra ciò che è gioco e ciò che invece è competizione. Bisogna discernere fin dall’inizio i due termini, che per altro sembrano andare a braccetto. Il gioco non ha bisogno, come sembrerebbe, della competizione. I bambini non conoscono la competizione fino a quando non gliela mostriamo ed inniettiamo noi adulti. Non servono né vincitori né vinti per divertirsi.

In ogni forma d’arte, che richiama ai parametri universali della simmetria, della logica e dell’esempi della natura, dove riconosciamo la competizione scopriamo il difetto. Se in un quadro il soggetto è più interassante dello sfondo, l’immagine ci appare sbilanciata. In alcuni casi lo sbilanciamento è proprio ciò che vuole il pittore, e proprio per questo non significa che non debba esistere qualcosa di “più bello” o “più interessante”. Il soggetto non potrebbe mai risaltare all’occhio senza l’aiuto dello sfondo, dunque il gioco del quadro si basa sull'”equilibrio di sbilanciamento” tra lo sfondo e il soggetto. Non competizione, ma gioco…

Ma riuscire a non farsi condizionare dai meccanismi competitivi è soprattutto un esercizio mentale. Accettare un ruolo meno importante (come quello dello sfondo del quadro), fa parte di questo esercizio. Quando il gioco non comporta una vera e propria perdita (come ad esempio quello di intrattenimento, gli scacchi, il monopoli, il risiko…) il “saper perdere” diventa quasi un arte. Le cose cambiano quando si parla di soldi, di lavoro, di gerarchie e anche di posizioni etiche e religiose.

Competizione significa forzare qualsiasi equilibrio, vertendo spericolatamente verso la sopraffazione di uno su un altro. Il nostro sistema economico si basa sulla competizione. Gli sport che noi pratichiamo si basano sulla competizione. Le carriere che noi perseguiamo si basano sulla competizione. L’amore invece, che dovrebbe essere l’esempio più alto di vita per noi esseri umani, non potrebbe mai essere competizione. È invece “Gioco”, un gioco tra due persone che non ha bisogno né di vincitori e né di vinti. Se i partecipanti si divertono a giocare saranno entrambi vincitori, se invece il gioco annoia oppure si trasforma appunto in competizione, tutti e due avranno perso.

Se applicassimo il gioco dell’amore a qualsiasi altra attività, vivremmo finalmente quell’equilibrio ispirato da tutto ciò che di positivo ed armonico ci circonda; la natura, l’universo, la bellezza…

Foto di Daniele Florio: http://www.flickr.com/photos/danieleflorio/

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