L’OMBRA DEI GRANDI ANTICHI

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L’Ombra dei Grandi Antichi è una raccolta di 15 racconti a tema che vi accompagnerà nel misterioso e sconcertante universo creato da H.P. Lovecraft. Negli ultimi anni mi sono trovato più volte ad omaggiare lo scrittore americano, padre di uno degli scenari horror più fantasiosi mai stati realizzati. Ma i “Miti di Cthulhu” in questo libro sono raccontati alla mia maniera, spesso estrapolati dal contesto degli anni ’20 e presentati sotto una luce nuova, più moderna, in alcuni casi addirittura cyberpunk.

Molti di questi lavori sono apparsi in precedenti pubblicazioni sotto lo pseudonimo Jonathan Macini. Il Racconto “Virtual Sothoth” invece è stato scritto in collaborazione con Demiurgus mentre alla stesura di “La Storia di un Diario” ha partecipato Fatum Poetum.
Il libro, nella sua veste colorata grazie all’effetto pergamena, vuole essere una dedica ai Miti e a tutti coloro che amano l’universo di Lovercraft. Si avvale della licenza Creative Commons – Non commerciale – Impegno a condividere ed è visualizzabile e scaricabile gratuitamente a questo link.

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Dettagli del prodotto

L’ombra dei Grandi Antichi
di GM Willo (Creative Commons, Attribuzione-Non commerciale-Impegno a condividere 2.0)
Prima edizione
Edizioni Willoworld
Pubblicato febbraio 27, 2012
Lingua Italiano
Pagine 80

Rilegatura Copertina rigida (senza sovraccoperta)
Inchiostro contenuto Colore reale
Dimensioni (cm) 15.2 larghezza × 22.9 altezza

Altre Edizioni Willoworld

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LE CRONACHE DI MYSTARA

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Dopo oltre dieci anni di avventure ed almeno un lustro di cambiamenti, ripensamenti e revisioni, ecco finalmente il libro che tutti i componenti del mio vecchio gruppo di gioco aspettava: Le Cronache di Mystara.

14 giocatori (ma se ne sono avvicinati almeno venti al tavolo), 22 protagonisti, 66 PNG, 1 Master… per la più grande avventura di Dungeons & Dragons mai raccontata.

Visionabile e scaricabile gratuitamente a questo link, oppure acquistabile in versione cartacea a solo costo di stampa alla pagina di Lulu, l’opera di Demiurgus occuperà regolarmente uno spazio in questo blog nei mesi a venire.

Il libro si avvale della licenza Creative Commons, Attribuzione-Non commerciale-Impegno a condividere 2.0, che ne permette la libera divulgazione in rete non a scopo di lucro, ed ha un valore prettamente informativo. Non è un materiale di gioco. Alcuni termini, nomi e luoghi di fantasia riportati fanno parte della campagna di gioco originale di Dungeons & Dragons. Non è nelle intenzioni dell’autore e dell’editore infrangere alcuna norma sul copyright.

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Link alternativo al download: Le Cronache di Mystara 

Dettagli del prodotto
Copyright – Demiurgus (Creative Commons, Attribuzione-Impegno a condividere 2.0)
Edizione – prima edizione
Editore – Edizioni Willoworld
Pubblicato – febbraio 18, 2012
Lingua – Italiano
Pagine – 179

Rilegatura Copertina morbida con rilegatura accurata
Inchiostro contenuto Bianco e nero
Dimensioni (cm) 21.0 larghezza × 29.7 altezza

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INTRODUZIONE ALLE CRONACHE DI MYSTARA

IL MONDO CONOSCIUTO

Mystara è il primo piano materiale, Omphalos dell’universo conosciuto, ricettacolo degli dei. In essa la vita vibra da sempre, guidata dalla volontà di potenze eterne ed invisibili. fin dai primordi l’esistenza dei suoi abitanti scorre all’oscuro della sempiterna lotta: la danza di morte e rinascita dell’Ordine e del Disordine, tra Radiosità ed Entropia… Ogni corpo esistente, ogni spirito ed ogni divinità, scaturisce da questa polarità, da
questa tensione. Le sostanze e le qualità sono invece costituite dai quattro elementi primordiali, coloro che nell’antico idioma sono chiamati Piroos (Fuoco), Groom (Terra), Stratoos (Aria), Leidoos (Acqua).
Il Mondo è ora diviso in tre enormi continenti, Skotar, Brun e Davania. Il Grande Oceano li separa e gli abitanti dei tre continenti non hanno da tempo più contatti: da quando la grande civiltà di Blackmoore collassò, nessuna razza sopravvissuta ha mai varcato i lidi della propria patria.
Il ricordo degli antichi Slaan è quasi svanito, solo alcuni manufatti testimoniano la loro esistenza, la loro perduta grandezza, la loro sterminata arroganza. Gli Slaan furono i primi ad abitare Mystara: in breve sottomisero alla loro cultura l’intero pianeta, piegando alla loro volontà gli eventi naturali e le quattro forze: i quattro fratelli furono schiavi. Dopo la catastrofe, la vita riprese il suo corso, seguendo una via diversa, un’altra evoluzione. L’Acqua tornò ad essere pura, L’Aria si liberò dai suoi veleni, la Terra ridivenne fertile, il Fuoco arse l’intero pianeta e lo rigenerò di nuova Energia.
Quando Mystara fu di nuovo invasa dalla forza rigogliosa della natura, antiche divinità si misero all’opera per ripopolare il mondo: Bahemoth, il grande unico, il primo drago, partorì i suoi tre figli, Opale, Diamante e Perla. Dal soffio vitale di Therras nacquero gli elfi, destinati ad una lunga vita.
Dalla pietra Gagyar il forgiatore ricavò Denwarf, il primo imperatore dei nani. Garal diede vita agli Halfing, popolo minuto e gentile. Ma la corte del disordine era invidiosa delle loro generazioni.
Da essi fu generata la stirpe degli uomini bestia, dalla quale sorsero i pelleverde ed altri abomini. La grande madre osservava il lavoro dei suoi fratelli con curiosità mista a indifferenza, Thanathos recideva incessantemente le vite dei mortali, Khoronus vigilava lo scorrere degli eventi e delle ere:
erano trascorsi 1400 anni dalla grande catastrofe, quando il creatore stesso decise di intervenire. Dalla luce delle stelle immobili trasse lo spirito dell’uomo, il gemello oscuro del Demiurgo. Lo vincolò nella materia: poi i due vi soffiarono la loro essenza immortale. L’Uomo fece la sua comparsa,
e molti Dei lo ammiravano, alcuni lo temevano, altri lo amavano. Ognuno partecipò alla sua evoluzione, altri tentarono inutilmente di estinguere quella razza divina, che crebbe e si moltiplicò, popolando i tre continenti. Sorsero presto tre grandi città: Edenia a Davania, Brunelin e Skovia nei continenti Brun e Skotar.
La nostra storia si ambienta 4000 anni dopo la caduta di Edenia, nel continente di Davania, nelle terre che conoscono il nome di “lande conosciute”, a Nord dell’arcipelago del mare del terrore. Gli elfi vivono ancora nella millenaria foresta di Alpheym, impenetrabile e mortale, i nani hanno scavato sempre più in profondità, nelle gallerie sotto la grande montagna Everast. Gli Halfing sono riusciti a mantenere indenne la loro cultura ai grandi mutamenti, amano ancora le loro antiche canzoni e le loro tradizioni.
Gli umani, invece, non sono che la degradazione di una degradazione: l’antica civiltà Edenica sembra ormai dimenticata, obliati della loro perduta grandezza, del loro ruolo e della loro divinità, vivono in villaggi e piccole cittadine sempre in lotta fra loro, divisi e smarriti, soli.
L’insediamento umano più civilizzato è Karameikos, separato dai monti Cruth dai vicini Ylariani, il popolo del deserto. Nei luoghi dell’antica catastrofe, quelle che oggi si chiamano “terre brulle”, i pelleverde hanno fondato la loro cittadella sotterrane, Aengmor, vicine alle caverne degli Elfi neri.
Le tensioni sono fortissime, una guerra sembra a tutti imminente, troppe alterità, poca civiltà.
I maghi glantriani sono molto preoccupati, la crisi investe ogni stato, ogni individuo…
E nella palude di Malpeggi, rinchiusa nella sua torre, una donna cieca medita il suicidio…

Demiurgus

L’ODORE DELLA TEMPESTA

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L’ennesimo racconto ispirato dal gioco, scritto nel 2005 e riveduto, corretto e presentato sotto lo pseudonimo di Aeribella Lastelle per il progetto La Giostra di Dante.

C’è il ritmo della vita nel movimento delle onde del mare. Le linee immaginarie lasciate sulla sabbia sono come le nostre vite, che appaiono per un attimo e poi scompaiono. Il Mare d’Ombra è oscuro e silenzioso, calmo presso la costa, ma letale al largo. In più punti affiorano affilati scogli, per le galee che solcano la sua superficie. Dall’alto dell’albero maestro il marinaio lancia un grido di allarme, ma spesso la reazione del timoniere è lenta, il vento incalza la vela con troppo ardore, e la barca vira troppo lentamente. Il tempo sembra fermarsi durante la virata, e tutto resta sospeso, almeno fino alla tagliente esplosione del legno sulla pietra bagnata. Altro

ELENION: Avventure

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Ispirata dal gioco di ruolo dal vivo “Le Lande”, Chiara ha scritto due piccoli racconti che traspirano tanto di gdr e trovano la giusta collocazione tra le testimonianze di questo sito. È bello vedere come dal gioco si possa passare al racconto, una cosa che capita molto spesso anche a me. Ringrazio Chiara di averci fatto partecipi di questi suoi gioielli, e speriamo di poterne pubblicare ancora in futuro.
Buona lettura!

Elenion GDR avventure
di Chiara Barbagli

INTRO

Le Lande di Neinhalt sono nel caos. Una oscura profezia ha portato tutti i sei regni liberi ad una difficile alleanza per poter rintracciare e recuperare le dodici reliquie degli dei. Ognuna di essa risponderà solamente alla mano del prescelto che incarna il volere della sua divinità e con essa sarà combattuta una guerra che cambierà completamente il mondo. Nel passato è stata già combattuta una guerra simile e il risultato è stata una devastazione che ha coinvolto tutte le terre emerse e ha portato alla rottura dell’Equilibrio.
Le divinità schierate nella guerra sono:

Inhumata, Fanciulla delle Virtù, creatrice degli elfi e divinità suprema della luce.
Arphmid, dea dei legami e della famiglia.
Galford, principe della cura, signore dei nani.
Raiden, campione della luce, difende l’onore e la legge.
Temjin, divinità suprema della schiera dell’Equilibrio, è il signore della magia e ha creato gli uomini.
Arborea, regno degli elfi silvani, è devota a Temjin tanto quanto a Inhumata.
Hou, principe dei venti
Eris, signore degli animali e della Progenie (uomini dall’aspetto animale, vivono principalmente nella Selva di Arborea)
Fei-yen capricciosa dama dei mari e delle tempeste
Antrasax, signore del caos e del male, l’unica divinità che nessuno nomina e nessuno può venerare apertamente, nemmeno nei regni devoti a Dorkas.
Arshrar, dama nera della morte
Dorkas, sanguinario dio della guerra brutale
Belgor, dio della malattia
I flugiti, (regno di Fulgis) sono schierati con la luce e venerano principalmente Raiden e Inhumata, i dorkadiani (regno di Dorkas) sono devotamente schierati con Dorkas, che li governa per bocca del Toccato il suo avatar. Altro

LO SPETTACOLO DI SPYRA PER IL CAOS

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La passione per il gioco di ruolo va spesso a braccetto con quella per la letteratura fantastica. In passato ho letto molta fantasy e mi è sempre piaciuto scrivere racconti, soprattutto per gioco. Ed è proprio seguendo l’intuizione di un gioco di ruolo per poeti e scrittori (vedi La Giostra di Dante) che è nato questo raccontino firmato Jonathan Macini, non un semplice pseudonimo ma un vero e proprio personaggio da gdr. Buona lettura.


LO SPETTACOLO DI SPYRA PER IL CAOS
di Jonathan Macini

Un demone l’aveva ribattezzata Spyra, e quello era adesso il suo nome. La via oscura parrebbe la più facile, ma sono molti i sacrifici che attendono colui che desidera entrare nella cerchia dei prescelti, e guardare oltre il velo dell’oblio, là dove la morte muore e qualcosa di orribile ed eterno incomincia.
La donna attraversava i corridoi del tempio con una torcia in mano. Portava i capelli sciolti, neri e lunghi fino alla vita, e aveva indosso soltanto una veste leggera, blu scura, che le ricadeva sulle forme prosperose, grossi seni dai turgidi capezzoli e fianchi sensuali. Conosceva tutti gli aspetti di quel rituale. Le prime volte che se n’era servita era stata male, ma il ricordo dell’umiliazione e del dolore era ormai stato riposto in quei cassetti della mente che un mago deve sapere tenere ben chiusi. Altro

UNA STORIA ISPIRATA

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la-foresta-vampira

Scrivere fantasy é sempre qualcosa di confortante, come un bagno caldo dopo una fredda giornata di pioggia. Questa storia nasce ricordando l’ultima campagna di Dungeons & Dragons fatta in Italia insieme al solito gruppo, nel 2005. É un omaggio al master di quell’avventura, che ci regalò come sempre grandi emozioni.

Mishan non è altro che Neve Silente, e la foresta Uaki è ovviamente l’Alfheim. La grande guerra e gli elfi trasformati in creature opalescenti e sottili sono idee prese pari pari da quella campagna, che ahimè non siamo mai riusciti a finire. Il resto della storia è frutto della mia immaginazione, influenzata dalle recenti letture dei classici della letteratura vampirica.

Buona lettura!

LA FORESTA VAMPIRA
di GM Willo

Platani e querce secolari torreggiavano sopra la minuta figura di Mishan, cacciatore delle marche di ponente, ricordandogli le antiche leggende. La foresta era sempre stata lì, prima che l’uomo mettesse piede sul continente, prima che le navi lasciassero le sponde dell’Impero Caduto, e molto prima che le antiche guerre scoppiassero e gli uomini dimenticassero di essere stati tutti fratelli… continua…

STORIA GIOCO E LEGGENDA 2.0

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storia-gioco-e-leggenda-2

Un paio di regole extra (vedi post precedente)

Narrando le gesta di due o più personaggi in una sola storia, è possibile incrementare il livello di più schede. Il conteggio delle parole dei personaggi, che entrano a far parte delle vicende narrate in un secondo tempo, avviene dal momento in cui questi fanno la loro apparizione.
Dato che i PE e i PX sono due sistemi distinti per monitorare il livello di un personaggio, succede che al momento in cui un PG di un certo livello entra in SGL, avrà un numero di PE pari a quel livello (es. un mago del settimo entrerà nel gioco di narrazione sempre con 4500 PE) . Se quel PG ha un background scritto, potrà essere considerato come bagaglio di PE.
Ecco qui un esempio fatto con un’altra scheda ritrovata per caso tra i miei fogli di gioco.

ESEMPIO

ASHIRA
Ladra del 4° livello (Borsaiola)

AC 5 (-1AC/1)
PF 12

FOR 10
INT 12
SAG 9
DES 17  +2
COS 9
CAR 15  +1

Tiri Salvezza
Veleno e RM        13
Bacchette        14
Paralisi            13
Soffio            16
Incantesimi        15

ABILITA’

Scassinare Serrature    30
Scoprire Trappole    25
Rimuovere Trappole    25
Scalare Pareti        90
Muoversi in Silenzio    35
Nascondersi Ombre    24
Svuotare Tasche    35
Sentire Rumori        45
Leggere Pergamene    /

SKILLS

Cavalcare (des)
Cercare Tracce     (int)

Skilled in arco lungo +2 TxC Danno 1d8+2 (-1 AC/1) Delay

EQUIPAGGIAMENTO

Armatura di cuoio
Arco lungo +1 (Herw)
Frecce (40)
Pugnale
Zaino
Torce
Acciarino
Erbe
Acqua Santa
Sacchi
Razioni
2 Corde di 15 m.
Attrezzi da scasso
Chiodi
Grappino

PX 5680
MO Gemme per un valore di 3800 MO

BACKGROUND

Cresciuta a Penhaligon in una modesta famiglia di chiesa Taladariana, fin da bambina viene ispirata dalle gesta dei grandi avventurieri, storie tramandate dai cantori del posto. A sedici anni lascia la sua città per seguire un amico, che la introdurrà nella gilda del Regno dei Ladri. Lì impara il mestiere di borseggiatrice, ma ben presto si accorge che non è quella la sua grande aspirazione. Due anni dopo lascia il Regno dei Ladri (la gilda di Fiammone) per andare in cerca di avventure in solitario. Insieme al suo fedele cavallo pezzato di nome Jenwen, raggiunge le vicine montagne dalle bianche cime coperte di neve,  e intrufolandosi in tortuose caverne scopre il passaggio per un misterioso rifugio sotterraneo. Lo abitano strani esseri, creature aliene e malvagie. Scampa miracolosamente da quella situazione, recuperando un arco magico di squisita fattura, probabilmente elfica. Lo chiamerà Harw, che nella suo dialetto significa “pungente”.
Si rimette in viaggio per Selenica. È lì che incontra Herb, un maestro d’armi con cui convive per un anno. Ma il richiamo per l’avventura è troppo forte, e una notte di primavera, ispirata forse dalla bella stagione, lascia di soppiatto la città e il suo uomo, a cavallo del suo amato Jenwen. Viaggia verso sud e per puro caso si imbatte nella dimora segreta di Bargle l’Infame, poco sopra La Soglia. Lo stregone è tuttora alla ricerca di lei, che potrebbe rivelare al Duca la posizione del suo rifugio.
Ma a Ashira non interessa minimamente questa storia. Ritorna a Selenica, si taglia i capelli e prende le sembianze di un ragazzo che si fa chiamare Perkle. In questa maniera si tiene al sicuro dalla vendetta di Bargle.

PE (derivati dal Background) – 276
PE iniziali del quarto livello – 1800
PE TOTALI – 2076
PE necessari per raggiungere il quinto livello – 2600

bagliori-sulla-neve
HAL ROGHASTER: Bagliori sulla Neve

Il fuoco purificatore scioglie la prima neve dell’inverno, e un uomo osserva da lontano la scena, il corpo gracile e curvo abbigliato da un tunica purpurea, spinge lo sguardo oltre i boschi appena sorpassati, fino ai tetti e alle guglie della città. Nella notte ormai morente la luce delle fiamme rimbalza per tutta la valle, scivola lungo le pareti delle montagne, si arrampica lassù, dove in un tempo remoto si ergeva il tempio di Hel.
Hal Roghaster si concede ancora un momento. Molte miglia lo aspettano. Deve raggiungere le grandi strade mercantili del sud, confondersi con la gente indaffarata del mondo moderno, lontano dalle leggende nordiche e dalle maledizioni degli antichi dei. La vendetta era stata compiuta. La chiesa blasfema, che da secoli si baloccava con insulsi giochi di potere, dimentica della devozione e della parola del suo dio, crollava tra le fiamme e la neve di quella prima notte d’inverno. Urla di follia e disperazione raggiungevano ancora le orecchie dell’adepto. I preti, suoi compagni, bruciavano nelle loro celle. I tomi del nuovo culto diventavano cenere. L’altare sacro di marmo nero veniva spaccato dal calore. La purificazione era avvenuta per mano dell’unico figlio degno di riportare il culto alle origini.
La Pietra di Hel, avvolta nel velluto e legata sulle sue spalle, emana un calore rassicurante. Hal Roghaster sente il suo dio percorrergli le vene. Sorride con due labbra sottili, si avvolge nel mantello e riprende la strada.
Un mese di viaggio, attraverso le montagne, lungo le vie del grande deserto, e poi verso ovest fino alla grande Selenica. Profumi di spezie, tessuti sgargianti, ceste di diverse dimensioni ripiene di ogni cosa, frutta secca, legumi, pellame, e poi elisir, profumi, bevande miracolose. Il mercato centrale è un continuo via vai di gente, anche nei giorni di pieno inverno come quello in cui sopraggiunse il chierico. Un mondo nuovo, che mai avrebbe immaginato potesse esistere.
Hal Roghaster aveva vissuto tutta la sua giovane esistenza tra le montagne e le leggende dei ghiacci, e non conosceva il mondo al di fuori delle rocce e dei fiordi del selvaggio nord. Nell’ultimo mese aveva visto abbastanza per convincersi che il mondo era davvero sterminato. Non sarebbe stato facile circondarsi di nuovi adepti. Le persone del sud sembravano molto più interessate al commercio che alla venerazione degli dei dell’universo. Ma forse non era questo che aveva in serbo per lui il suo dio. Un giorno, quando il tempo sarebbe stato maturo e la purificazione dei suoi concittadini completata, lui sarebbe tornato a casa, a riedificare il tempio sulla montagna. Fino ad allora avrebbe viaggiato, conosciuto il mondo, carpito il significato del grande disegno, appreso e conquistato. Mille nuove terre da esplorare…
Pensa a questo Hal Roghaster, nella taverna del Diavolo Zoppo, vicino al mercato centrale. È pomeriggio inoltrato e il locale è ancora mezzo vuoto. Dopo il tramonto non rimarrà neanche un posto per sedersi.
Il prete siede in disparte, un piccolo tavolo con un bicchiere di vino caldo. L’inverno di Selenica è più mite di quello delle sue parti, ma il vento sferza con vigore per i vicoli stretti e le bancherelle.  Col bastone-martello appoggiato alla sedia e la pietra sacra sulle ginocchia, osserva i commensali, gente di ogni sorta, umani, nani, c’è pure un paio di elfi. Non li avevi mai visti prima di allora. Li trova curiosi, con quei lineamenti effeminati, quell’aria in qualche modo aliena. Hal Roghaster sorseggia il suo liquore e pensa che le monete sottratte all’abate, un momento prima di appiccare l’incendio, non sarebbero bastate ancora per molto. Doveva trovare un modo di sostenersi, di andare avanti.
«Sei un prete, vero?»
La voce spicca argentina sopra il brusio della locanda. La domanda è indirizzata a lui, ma non riesce a scorgere il suo interlocutore. Il chierico si volta verso la parete alle sue spalle e intravede un ragazzo, poco più di un bambino all’apparenza, ma equipaggiato di tutto punto: corpetto di cuoio, mantello, pugnale da caccia e un lungo arco di pregiata fattura appeso dietro la schiena.
Il ragazzo si muove come un gatto e gli si fa di fronte. Chiede permesso e senza aspettare una risposta si accomoda al tavolo. Hal Roghaster non reagisce. È incuriosito, desideroso d’imparare.
«Non in quel senso…» risponde con il suo marcato  accento nordico.
«Che vuoi dire?» chiede di rimando il ragazzo.
«Non elargisco benedizioni, io…»
«Non voglio essere benedetto, grazie. Il mio problema sono le persone che hanno difficoltà a rimanere ai loro posti, come le bare, ad esempio…» Il ragazzo era stato fin troppo chiaro. Un tombarolo, con tutta probabilità, in cerca di un chierico che gli risolvesse il problemino dei non morti. Poteva diventare un occasione per incrementare il suo bilancio.
«Di cosa si tratta?»
«Una torre, dieci miglia a nord est dalla città, nascosta dalla boscaglia, una cassa di gemme e naturalmente una maledizione. Ma io alle maledizioni non ho mai creduto un granché, mentre invece agli spiriti dei morti ci credo eccome!»
«E fai bene a crederci, ragazzo.»
«Anche tu sei un ragazzo.»
«Non è l’età che ci fa più o meno ragazzi, ma le esperienze di vita e i modelli che inseguiamo. Non mi sono mai sentito un ragazzo…»
Su quelle parole si chiude il discorso, ma molto è già stato deciso. I due rimangono per un po’ in silenzio, ad osservare la gente che si riversa dentro la locanda. Fuori è già buio, il mercato è finito, le bancherelle si muovono cigolanti su grosse ruote di legno, spinte con vigore dai loro proprietari.
«Allora a domani, prete…» saluta il ragazzo. È già in piedi, pronto a darsi da fare. Qualche distratto commensale stasera crederà di aver perduto il borsello.
«All’alba sulla strada del nord?»  domanda il chierico.
«E sia!» Poi si dilegua come fumo.
“Un ragazzo in gamba, ma mi nasconde qualcosa…” Questo è l’ultimo pensiero di Hal Roghaster, prima di ritirarsi nella sua stanza al piano di sopra.

PE da attribuire al chierico Hal Roghaster  – 983 (sommati ai 943 raggiungono il totale di 1926, e fanno passare il chierico al quarto livello)
PE da attribuire ad Aspira la borseggiatrice – 385 (inizia il conteggio dall’entrata in scena della Ladra, alla battuta “Sei un prete, vero?” – vengono sommati ai 2076 per un totale di 2461 PE)

Creative Commons License

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AMBRA

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La foresta vestita di rugiada scintillava alla luce del sole appena sorto. Filtrava tra i rami, irrompendo attraverso le foglie, rimbalzando sull’erba in bagliori accecanti. Il tumulto della vita risiedeva in quei riflessi. Il giorno iniziava insieme ad un milione di vite, esistenze all’apparenza insignificanti, ma il grande druido sapeva che tutto faceva parte di un disegno: il disegno della Madre Suprema.
Il suo nome era Clarko, sacerdote altissimo della foresta dell’Alfheim. Solo un paio di anni prima aveva deciso di abbandonare le trame di palazzo, rifiutando i voti fatti alla chiesa di Karameikos. Nell’ipocrisia che vi risiedeva aveva trovato le ragioni per avvicinarsi alla foresta, un richiamo più forte di qualsiasi promessa di vita eterna. E così era successo. Spogliato di tutto ciò che aveva, superò le sette prove, divenne il più grande druido del continente. La sua dimora era adesso un’umile casa di legno nel cuore dell’Alfheim. I suoi nuovi compagni erano il lupo, il falco ed il gufo. I suoi vicini erano gli elfi ancestrali.
Le storie volgevano a capo. Tutto scorre in maniera ciclica, come le ragioni della terra, e le stagioni che si susseguono una dopo l’altra. Anche la civiltà doveva morire per rinascere, più giusta e più bella. Era l’autunno dell’uomo, il tempo in cui le foglie cadono e sulle montagne si scorgono le prime nevi. Presto il gelo avrebbe arrecato il grande sonno. Fino alla nuova primavera…
Pensava a questo e a mille altre cose Clarko, in piedi sul porticato di casa. Il lupo grigio giaceva ai suoi piedi. Teneva gli occhi chiusi ma non dormiva, ed ogni suo senso era all’erta. Gli uccelli cinguettavano partecipando al tumulto. Lumache, farfalle, funghi e violette, uno scoiattolo ed un riccio. Tutti prendevano parte all’evento, un rituale da non dare per scontato. La vita, in tutte le sue forme, anche le più aberranti, è la testimonianza della manifestazione della Madre.
Il lupo drizzò le orecchie. Clarko aveva intessuto sortilegi e preghiere a protezione di quel luogo, ma il fedele quadrupede riusciva sempre ad anticiparlo nel sentire la presenza dello straniero. Il druido si rivolse a lui  mentalmente.
“C’è qualcosa che non va?” Il pensiero era tiepido. Entrare nella mente di un lupo era come abbandonarsi ad un’immersione ovattata, una sensazione che differiva enormemente dal modo in cui le persone conoscevano il lupo, animale freddo e solitario. Eppure la sua anima era profonda, fedele, dolce. Un abbraccio temperato.
“Sta arrivando qualcuno!” rispose.
Si, adesso l’avvertiva anche lui. Un uomo, oppure una donna, si muoveva per i sentieri nascosti che portavano alla sua dimora. Non si preoccupava di nascondersi, non avanzava accorto. Sembrava trascinarsi, spinto da una forza prepotente. Forse dalla disperazione…
“Vai a vedere!”
L’ordine fece scattare il lupo sulle quattro zampe. Si precipitò verso le alte querce che circondavano l’abitazione. Si dileguò in un attimo, ingoiato dalle ombre della foresta. Un minuto dopo il druido venne raggiunto dal messaggio mentale dell’animale. Una donna, disarmata, forse ferita, procedeva lungo il sentiero sud, quello che conduceva fuori dalla foresta, verso le terre di Darokin.
Clarko alzò una protezione, solo per precauzione. Non poteva correre rischi, anche se non sembrava che ce ne fossero. Ma erano tempi cupi; il volgere del ciclo, la resa dei conti. Forze opposte, eppure molto vicine, erano in guerra. Tutto si sarebbe risolto con la rinascita, ma non poteva esserci rinascita senza morte, dolore e distruzione…
Finalmente lei apparve, preceduta dal lupo grigio. Non sembrava badarci, nonostante le dimensioni della bestia, un esemplare unico. L’animale riprese posizione ai piedi del Druido, che ne frattempo era avanzato verso il giardino davanti a casa. Lei gli si fermò a una decina di passi, non più giovanissima ma sempre bella. La conosceva, certo che si. E come poteva non conoscerla, sacerdotessa e sposa del suo migliore amico. O almeno così era stato, fino a pochi anni prima. Ambra…
I capelli le ricadevano sul volto, in matasse aggrovigliate e sporche.  Gli occhi arrossati lasciavano intuire che erano passati giorni dall’ultima volta che era riuscita a dormire. Le vesti lacere, infangate, gli avambracci e le guance pieni di graffi, indicavano che non si era preoccupata di scegliere i sentieri più sicuri. Ciononostante era sempre bellissima. Una bellezza umana, regale, antica in un modo che neanche gli elfi riuscivano ad apparire. Se infatti il popolo del bosco, con i suoi lineamenti delicati e le sue movenze signorili, si presentava aggraziato ed irraggiungibile, vi era qualcosa nella bellezza degli umani che trascendeva la normale percezione. Un’antichità cosmica dimorava negli occhi degli uomini, ed Ambra era tra i pochi che riuscivano ancora a mostrarla.
Il druido le andò incontro. Ebbe un attimo di esitazione, intuendo il pericolo che poteva nascondersi dietro la donna, ma poi lasciò fare all’istinto. In fondo era il sacerdote della Madre. Non poteva rimanere impigliato nelle ragnatele della mente.
Lei accettò il sostegno. Lui la condusse dentro casa, mentre il lupo li seguiva a due passi di distanza. La fece accomodare in cucina, dove la stufa intiepidiva il freddo ambiente. Lei si sedette al tavolo di quercia intagliato, mentre lui metteva a bollire l’acqua per l’infuso. Nessuno aveva proferito una sola parola. Erano i gesti che parlavano, per il momento.
Quando la tisana fu pronta, Clarko ne versò un’abbondante porzione alla sua ospite. Poi si accomodò sulla sedia di fronte e attese.
«É impazzito!» Il sussurro di lei era un grido di disperazione. Il druido non sembrò sorpreso. Le rispose: «Bevila tutta. Ti farà bene…»
Si abbandonò ad un pianto leggero, orgoglioso. Solamente due singhiozzi, poi negli occhi le ritornò il fuoco di sempre. Bevve un ultimo sorso, poi incominciò.
«Erano giorni che non si faceva vedere, che non risaliva dai sotterranei del palazzo. Mandavo gli inservienti a chiamarlo, ma lui alla fine non li riceveva neanche. Tornavano da me terrorizzati.
«Poi un giorno mi decisi ed andai a cercarlo. Se avessi sentito il fetore che proveniva da quelle stanze… L’oscurità ghermì il mio cuore, mentre scendevo gli ultimi gradini. Poi il corridoio, la porta, e più avanti, le tenebre.»
Il druido la guardò negli occhi e non riuscì a trattenere il suo disappunto, la sua paura.
«Il libro. Il Metic Lee…»
«Si, proprio lui. Voleva studiarlo, capire come distruggerlo. Invece ne è rimasto soggiogato.»
Un silenzio d’oltretomba piombò nella stanza. Sembrava che neanche gli uccelli della foresta avessero più voglia di cantare. Il nome di quel libro, essenza stessa del male, aveva incrinato ciò che vi era di bello intorno a loro. Il volto del druido divenne ancora più cupo. Rimase in attesa.
«Sono scappata. Non ho potuto fare niente per salvarlo. I miei poteri sono inutili contro di lui. E adesso si sta movendo, spinto da una forza inavvicinabile, la natura stessa del libro che ha preso vita in lui. Il tempo è giunto, grande druido…»
Ambra abbassò la testa, vinta dalla stanchezza e dalle contrastanti emozioni. L’uomo che amava, o che aveva amato, era diventato il messaggero della catastrofe. E lei non era riuscita a salvarlo…
Clarko le appoggiò una coperta sulle spalle. Aveva bisogno di stare da sola, di riposare. Chiuse la porta della cucina e uscì di casa insieme al suo fedele lupo. Una passeggiata nel bosco lo avrebbe aiutato a riordinare i suoi pensieri, ora più che mai in tumulto.
L’oscuro potere del Metic Lee era stato sprigionato. La distruzione era vicina. Ma per l’umanità che volgeva al tramonto, la distruzione era probabilmente anche la sola ancora di salvezza. Il male non dimora nella naturale ciclicità delle cose, che incomincia con la vita e si chiude con la morte, ma nella rottura di questo cerchio.
Poteva fidarsi di Ambra? Poteva prendere per vere le sue parole? Poteva affidarle il compito più grave, quello di rivolgersi contro il suo più grande amore?
Ma Adam non era più l’uomo che entrambi avevano conosciuto. Qualcosa di terribile si era insidiato dentro di lui, estirpando le buone radici, contaminando la sua anima, per uno scopo più grande: la rottura del cerchio.
Era giunto il tempo di partire. Non poteva più rimanersene lì, ad aspettare nuovi segni. I segni ormai erano arrivati. Di quali altre prove poteva mai aver bisogno? Doveva parlare con gli altri druidi, avvertire gli elfi, e poi mettersi subito in viaggio per il remoto nord. Lassù, nell’antico Regno Silvano, dimoravano le risposte di cui aveva bisogno.
Il sentiero lo ricondusse davanti a casa. Sperava che la donna si fosse accomodata nella stanza degli ospiti, e ne avesse approfittato per riposarsi. Una volta che avesse ripreso le forze, avrebbero parlato più nei dettagli di quello che era successo a suo marito.
Ma appena oltrepassò la soglia avvertì che la casa era vuota. Ambra se n’era andata. Forse era già molto distante. “Che stupido!” pensò, ma si rese conto che non aveva motivo di trattenerla. Lei aveva viaggiato giorni interi per rivelargli quello che era successo, ed era chiaro da che parte stesse. Era stata il segnale, la prova, l’innesco degli eventi futuri. Non poteva fare o dire niente di più. Oppure…
Il druido aprì la porta che dava sulla cucina. Scorse la coperta che le aveva sistemato sulle spalle, adesso riversa sul tavolo di quercia. La prese in mano ed allora lo vide. Il disegno del grande uccello, inciso nel legno antico, un’effige delineata da pochi precisi intagli. Era l’ultimo indizio lasciato dalla sacerdotessa. Il grande uccello era la chiave. Adesso toccava a lui unire i puntini del disegno.
Clarko era pronto a partire.

MICHELE BOCCACCIO

L’ULTIMA PROVA

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In un intervento del progetto 101 PAROLE, legato al circuito www.willoworld.net, Michele Boccaccio narra un episodio ispirato dall’iniziazione a druido di Clarko. L’autore é in realtá una proiezione virtuale che condensa i ricordi del vecchio master Wolly e quelli del giocatore Wosky.

L’arcidruido afferrò la mano del ragazzo. Nei suoi occhi vi leggeva dedizione, coraggio, forse determinazione. Poteva trasformarsi in avventatezza? Chissà…
«Un’ultima prova ti separa dal diventare druido. Sarai capace di andare contro la tua volontà per dimostrarmi quanto vali?»
La lama sacrificale passò di mano in mano. Il cerbiatto sacro si dimenava legato alla grande roccia, totem della foresta.
«Uccidilo!» ordinò il maestro.
La risolutezza divenne sgomento. Anni di studio e di sacrificio lo avevano condotto davanti a quell’assurdo quesito.
«No maestro. Se è questo ciò che mi chiedi, rinuncio alla nomina.»
L’arcidruido gli tolse il pugnale.
«Così sia, DRUIDO!« disse.

HARAK: LA MORTE DI UNO SCIAMANO

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ANNO 1012, 14 Vatermont.
Khanato di Ethengar.

Lo sguardo del grande Tabot si posò sulla maschera di falco del giovane sciamano.
«Poi andare ora. Non vi è altro da dire.»
Yamun ascoltò in silenzio, ma un attimo dopo ebbe uno scatto d’ira, e facendosi incontro al proprio maestro, rispose: «Non penso che questo sia il…»
Ma la voce del Grande Sciamano spezzò la risolutezza di Yamun.
«Ti ho detto che puoi andare. Non vi è altro da discutere. Almeno per ora.»
«Io volevo soltanto…»
«Yamun della famiglia degli Oktai, spirito del falco della tribù dei Taijits, fa come ti ho detto, prima che scordi chi tu sia. Và, ora!»
Askyn, il grande lupo grigio, rizzò le orecchie. Il suo muso si volse incuriosito verso il padrone. In silenzio Yamun Oktai si allontanò, lasciando Harak da solo insieme ai suoi pensieri. Sapeva di non poter ancora contare sul giovane Yamun, ma il sapere appreso, l’abilità con cui era riuscito a cavarsela nelle sue ultime avventure, la perspicacia dimostrata in più di un’occasione, erano la prova che il potere in lui stava crescendo. Questo Harak lo sapeva bene, soprattutto ora che era entrato in possesso degli “occhi del falco”.
Askyn si portò ai piedi del maestro, in un gesto di consolazione. Harak incominciò ad accarezzarlo, e con un sorriso prese a parlargli dolcemente.
«Tu sai, vecchio compagno, che non lo faccio solo per il bene di tutta la tribù, ma soprattutto per il suo bene.»
Askyn lo fissava, uno sguardo più simile a quello di un essere umano che a quello di una bestia.
«Non preoccuparti. Anche io gli voglio bene, e gli spiriti sono con lui.»
Ma in quell’istante Harak avvertì qualcosa dentro il suo cuore. Gli spiriti erano inquieti. La cosa lo insospettì. Era una sensazione che non faceva che confermare i recenti sospetti, presentimenti ai quali non aveva dato peso. Adesso però sentiva che doveva essere sicuro. Doveva andare a controllare di persona.
Si rivolse al grande lupo.
«Devo andare adesso.» E non disse altro.
Il lupo si accucciò in un angolo lontano della stanza. Seguì con lo sguardo il padrone che si avvicinava ai bracieri. Poi si mise a pulire con la lingua il suo argenteo pelo.
Lo sciamano aspettò ancora qualche istante prima di sedersi sul trono di pietra. Si trovava esattamente in mezzo ai due fuochi, che illuminavano la stanza di flebili sprazzi di luci multicolori. Le sue mani si protesero lentamente sino al cuore delle fiamme. Queste aumentavano d’intensità ad ogni parola del rituale che Harak pronunciava. Una luce verdastra si sparse per la stanza, un bagliore emanato adesso anche dal suo corpo. Esplose un lampo di luce accecante. Solo una attimo, poi tutto tornò nella penombra dei bracieri, che avevano ripreso a bruciare normalmente.
Nell’antro dello sciamano, Askyn ora era da solo.

Harak sentiva che c’era qualcosa di strano nel piano degli spiriti. Non riusciva a captare la loro presenza, e incominciò a sospettare che la causa di ciò fosse un’interferenza esterna. Presto ne ebbe la conferma.
Una figura oscura si avvicinava lentamente verso di lui. Harak cercava di identificarne la natura. No, non era un semplice spirito.
Quando si trovò a pochi passi dallo sciamano, la sagoma scura si fermò ed attese. Harak percepiva il considerevole potere che emanava. La figura era vestita di una tunica nera, decorata finemente da antiche rune argentate. Era immobile davanti a lui. In silenzio. Neanche un respiro…
Nonostante il potere emanato da quella misteriosa entità, Harak non provava paura, consapevole dei segreti di cui era depositario. Alzò la mano in segno di pace.
«Salve a te, chiunque tu sia, o chiunque tu sia stato. Harak è il mio nome, sciamano, spirito del lupo della tribù dei Taijits. E sono il Tabot supremo.»
Una voce stridula ed irreale sfuggì dall’oscurità del cappuccio.
«So qual è il tuo nome, sciamano. So quale spirito alberga in te. So chi sei. So tutto di te!»
Harak non parve molto sorpreso, come se avesse saputo quale sarebbe stata la risposta.
«Devo dedurre allora che il nostro incontro non debba considerarsi del tutto casuale», replicò ironicamente lo sciamano.
«Non era mia intenzione rivolgere le mie attenzioni verso di te, sciamano. Ma il tuo interferire ha contribuito alla morte del mio fedele servo, e ha impedito la venuta ultima del mio potere!»
«Ora penso di capire chi tu sia e cosa tu voglia.»
«Voglio soddisfare il mio desiderio di vendetta. Uno ad uno vi giudicherò e vi condannerò. Voglio tutti voi, e ora voglio te, Harak!»
«Sappi che non otterrai mai ciò che vuoi. Non puoi sconfiggermi, Lady Keflarel Quanafel!»
«Sei già stato giudicato. Ti porto la tua condanna!»
Un istante dopo Harak era già pronto ad agire. Ma la sacerdotessa, con una rapidità impressionante, protese le mani verso l’avversario. Harak venne avvolto completamente da una gigantesca nube di insetti neri, provenienti dalla terra. Lo sciamano conosceva il tipo di magia, ma ignorava le modifiche ad essa applicate. Erano insetti a lui sconosciuti.
Ma un secondo prima che quelle creature potessero morderlo, Harak sparì. La veste di zampe e corpi corvini si riversò al suolo davanti allo sguardo contrariato della sacerdotessa.

Askyn vide le fiamme dei bracieri crescere ed agitarsi. Un attimo dopo Harak riapparve, proprio nel mezzo ai due millenari sigilli. Lo sciamano sapeva che avrebbe dovuto agire senza indugio. Quella donna, creatura oscura, poteva raggiungerlo facilmente. Preparò il necessario alla divinazione. Memorizzò le parole, si concentrò sui movimenti. Ma nell’attimo in cui si apprestava a formulare l’incantesimo, Keflarel era già alle sue spalle, pronta a colpirlo con la sua mano, avvolta da un sortilegio potentissimo. Harak fece appena in tempo ad evocare dalla sua tunica l’ombra magica di un lupo, che si frappose tra lui e la sacerdotessa. L’ombra venne colpita dal sortilegio, e subito incominciò a saltare freneticamente, come in preda ad una danza mortale. Poi svanì nel nulla.
«Come? Rifiuti l’invito di una signora alla danza?» La voce sibilante della diabolica elfa coprì quella dei tamburi di Harak, che accompagnavano i suoi incantesimi. Ma lo sciamano questa volta non si fece sorprendere. La magia dei tamburi era rivolta a se stesso: una protezione.
Askyn con due balzi era già a ridosso dei contendenti, ma Harak lo fermò con un gesto. Poi si volse verso Keflarel.
«Non combatterò in questo antro sacro. Ti aspetterò nel luogo del nostro primo incontro. Quello sarà il campo di battaglia ideale.»
Così dicendo, scomparve alla sua vista. L’elfa guardò il lupo, che a sua volta aveva lo sguardo fisso su dei lei. Poi si voltò e seguì lo sciamano.

Si ritrovarono nuovamente uno di fronte all’altra. Si studiarono meticolosamente prima di agire. I loro movimenti erano quasi contemporanei.
Nove dardi incandescenti saettarono contro Harak che, grazie alla difesa magica creata nel proprio antro, riuscì a respingere contro la sacerdotessa incredula. Oltre ai dardi, una nuvola di giganteschi insetti piombò su di lei con una potenza d’urto poderosa. Ma quello che accadde dopo, sorprese non poco il vecchio sciamano.
L’elfa uscì quasi indenne da quella nuvola mortale, scrollandosi di dosso, con una facilità sorprendente, gli ultimi coleotteri rimasti attaccati al suo corpo. Si posizionò poi ad una distanza di apparente sicurezza, e scagliò contro il suo avversario un nuovo incantesimo. Anche questo venne respinto, non sortendo alcun effetto.
«Una banale magia del sonno», sussurrò a se stesso Harak, intuendo che l’elfa doveva aver finalmente scoperto quale sortilegio lo stava proteggendo; un “rifletti incantesimi”.
Lo sciamano allora si avvicinò e sferrò il suo attacco, evocando una tempesta di spiriti che si riversò ripetutamente sul corpo della donna. Ma lei non indietreggiò di un solo passo.
Non gradendo le ferite subite, Keflarel usò il suo potere per guarirsi e recuperare le forze perdute. Ma la sua condizione rigenerata durò poco. Harak tornò a colpirla con una potentissima scarica d’energia che fuoriuscì dalla punta del suo bastone. Tredici spiriti del lupo colpirono ripetutamente l’elfa, che non aspettandosi un attacco così impetuoso, indietreggiò di un passo. Poi un’altra tempesta, uguale alla prima, si abbatté nuovamente su di lei.
Harak vide l’elfa scaraventata all’indietro dai suoi ripetuti colpi. Sapeva bene che nessun essere a lui conosciuto avrebbe potuto resistervi. Ma Keflarel non era ancora sconfitta. Si rialzò faticosamente in piedi e, riacquistato il giusto equilibrio, scagliò un altro semplice incantesimo; una ragnatela magica. La protezione dello sciamano respinse gli effetti del nuovo incantesimo addosso al suo avversario. L’elfa, con una forza incredibile, si liberò dalla tela da lei stessa evocata.
«Davvero ammirevole, sciamano. Non immaginavo che tu potessi arrivare a mettermi in difficoltà!»
«Arriverò ad annientarti, oscura donna!» Ma queste parole non impedirono ad Harak di essere turbato da un brutto presentimento. Aveva dato fondo a quasi tutto il suo potenziale offensivo, ma l’elfa sembrava aver accusato solo in parte l’enorme potere riversatogli contro. Lo sciamano si vide costretto a richiamare lo spirito del grande lupo, che apparve accanto a lui, pronto ad eseguire ogni suo ordine.
«È tutto inutile. Anche se mi stai resistendo come nessun altro ha mai fatto, non riuscirai a fermarmi. Rafiel è con me! Ti mostrerò quello che in grado di fare colui che domina il tempo!» Alzò le braccia e, prima che potesse reagire, Harak si accorse che l’elfa aveva plasmato il tempo a suo piacimento. Erano diciotto i dardi che adesso galleggiavano nell’aria sopra di lei, e davanti a lui si ergevano due draghi rossi. Il grande spirito intervenne tempestivamente a protezione del maestro, e affrontò i due draghi da solo. Ne ferì seriamente uno con due poderosi attacchi.
Prima che i dardi della sacerdotessa scoccassero mortalmente, Harak riuscì nuovamente a difendere il proprio corpo con l’ennesima magia di protezione. I proiettili incantati colpirono una barriera invisibile e tornarono addosso all’elfa, che però non sembrò subirne gli effetti.
Harak non si perse d’animo. Evocò un’altra tempesta di spiriti, che danneggiò ulteriormente il suo avversario. Nel frattempo i grandi draghi avevano riversato sullo spirito del lupo i loro soffi infuocati. Eppure questi non erano bastati a sconfiggerlo. Lo spirito piombò con le sue fauci su uno dei draghi uccidendolo.
Ma il grande Tabot era alle strette. Gli erano rimasti pochi poteri. La sconfitta era vicina. Pronunciò la sacra parola degli spiriti, ma Keflarel Quanafel non ne subì alcun effetto.
«Perché ti ostini a non voler accettare il tuo destino! Mi trovo costretta ad usare contro di te il grande potere che Rafiel dona ai suoi sacerdoti!» Estrasse allora, da sotto il pesante mantello, un cristallo nero come la notte, attaccato ad una catena che teneva legata al collo.
«Il Cristallo dell’Anima, sciamano. Grazie ad esso avrò la mia vendetta!»
Un fascio di luce accecante, composto da una moltitudine di anime fuse fra loro, scaturì dal cristallo, investendo in pieno Harak. La forza d’urto fu impressionante, ma ciononostante lo sciamano restò in piedi.
«Non pensare di poterti disfare di me così facilmente, subdola creatura del sottosuolo. Harak non ha ancora terminato tutte le sue risorse!»
Dopo aver risposto con le parole all’elfa, curò completamente il suo corpo da tutte le ferite subite. Era l’ultima magia di guarigione rimastagli.
«Basta! Muori maledetto!» urlò istericamente l’elfa, scaricando nuovamente sullo sciamano il potere del cristallo. Ma Harak, grande sciamano del Khanato, passata l’orda di anime assassine, continuava a sorreggersi con l’aiuto del suo bastone incantato. Nello stesso istante, l’ultimo drago rosso riuscì ad avere la meglio sullo spirito del lupo. Poi, inferocito dalle ferite subite, si voltò minaccioso verso lo sciamano e vi si gettò contro. L’enorme creatura stava per abbattersi su di lui, ma con un semplice gesto della mano Harak la fece sparire, meravigliando ancora una volta il suo avversario.
«Non hai scampo Harak! Addio!» Ed una nuova immensa scarica luminosa, carica di anime infernali, si apprestava a fuoriuscire dal cristallo ed a travolgere lo sciamano. Harak, allora, fece un ultimo disperato gesto. Evocò le ultime due ombre di lupo racchiuse nella sua tunica, e le usò come scudo da frapporre alla furia delle anime. Ma quando il potere si liberò dal cristallo, la stessa Keflarel ebbe difficoltà a controllarlo. Le due ombre furono letteralmente spazzate via, e attutirono solo una minima parte della scarica. Harak ne fu travolto.
Ma Keflarel Quanafel non poteva credere ai propri occhi. Il corpo dello sciamano era allo stremo. Le ferite riportate avrebbero dovuto ucciderlo, ma lui, con un ginocchio a terra e lo sguardo abbassato, continuava ad aggrapparsi al suo bastone. Sotto lo sguardo incredulo della donna, Harak, il volto scavato dallo sofferenza, il corpo lacerato dalle ferite, riuscì a raccogliere le ultime forze. Grondante di sangue si rimise in piedi. Sembrava intenzionato a riprendere il combattimento, pronto a pronunciare un nuovo incantesimo. Ma invece abbassò la mano e posò il tamburo. Poi si mise a sedere, il bastone piantato davanti.
«Harak è ancora vivo, ma continuare questo combattimento sarebbe inutile. Sappi solo che il fuoco di vendetta che si estinguerà adesso in te, trova un nuovo campo fertile nel mio animo. Coltiverò e alleverò questo sentimento come fa una madre con il figlio. Lo sento ardere già dentro di me, più acceso del sole del deserto Alasyano! Ricordati che da questo momento il mio spirito reclamerà vendetta in eterno. E un giorno l’avrò. Fino a quel giorno, aspettami!!»
Lo sciamano chiuse gli occhi e, ritmando col tamburo una dolcissima melodia, intonò un canto greve che ricadeva su se stesso.
Keflarel si avvicinò alla figura del vecchio sciamano in meditazione.
«Hai dimostrato quanto vali.» E con un gelido tocco gli accarezzò il volto.

Nell’antro dello sciamano Askyn aspettava impaziente il ritorno del padrone. Ad un tratto si accorse che le fiamme dei bracieri bruciavano in modo strano. Si stavano consumando.
Non ci volle molto perché si spengessero del tutto, e in quell’istante apparve, seduto sul trono di pietra, lo sciamano. Era immobile. La testa gli ricadeva pesantemente su una spalla.
Askyn si avvicinò accucciandosi ai piedi del cadavere e incominciò a piangere.
Il corpo fu trovato il mattino dopo dallo stesso Yamun Oktai. Si accorse che il fedele lupo aveva vegliato le spoglie del padrone per tutta la notte. Nessuno riusciva a spiegarsi che cosa fosse successo al grande Tabot. Solo Yamun Oktai riuscì a scoprirlo, proprio la notte seguente.
Il suo corpo fu trovato il mattino dopo.

di Michele Boccaccio (1995)